Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947)
Accanto all'assimilazione dei modi del simbolismo secessionista europeo, evidente nella prima produzione grafica e nella piccola plastica, si rivela importante per Arturo Martini il lavoro compiuto sin da ragazzo nelle fabbriche di ceramica, esperienza che gli lascia un amore artigianale per la materia, in particolare per la terracotta, studiata nei bozzetti del Canova nella vicina Possagno. Determinante è il viaggio a Parigi, dove entra in contatto con Modigliani e Boccioni e soprattutto la partecipazione alle iniziative del gruppo di Cà Pesaro, organizzate da Barbantini. Nei primi anni Dieci l'artista tenta una sintesi fra linearità simbolica, contenuto espressivo e autonomia della forma plastica. Nel clima del "richiamo all'ordine" del dopoguerra, Martini aderisce alla sintesi metafisica delle forme e al mito primitivista e classicista propugnato dalla rivista di critica d’arte Valori Plastici. Personalità di spicco nel gruppo del Novecento, Martini riesce a reggere con coerenza di stile l'impegno monumentale, anche nell'accettazione dell'ordine classicistico presente in opere segnate dalla retorica del fascismo: La Giustizia Fascista, 1936-37. Intorno al 1940 l'artista giunge alle soglie dell'astrazione, maturando una riflessione e una coscienza della crisi che lo porta, nel 1945, a trarne le conclusioni nello scritto La scultura lingua morta.
Nel 2000 la galleria Guastalla realizza una mostra con opere di Arturo Martini e Mario Sironi mettendo in relazione la monumentalità e l’arcaismo delle opere di questi due grandi artisti del Novecento.